Luna Blog

Il Blog de "la LUNA nuova" per condividere con voi in modo veloce e costante news, aggiornamenti e notizie varie, da Palagano e dintorni e permettere a tutti la fruizione dei nostri articoli e velocizzare lo scambio di notizie e contenuti. Stay tuned!

lunedì 14 maggio 2018

Attaccato alla vita - short story


Questa volta, sarà diverso.
So di essere sveglio,  mi sono lavato il viso con acqua gelida, e sono certo di essere sveglio.
Vivo in un mondo di certezze, sono ricoperto d'oro, che gli altri hanno spontaneamente deciso di attribuirmi. E allora sono sicuro di essere sveglio.
Mi vesto. Appoggio il cappotto alle spalle, e non esito a chiudere i bottoni, uno ad uno, fino al terzo, a partire dal basso.
Seduto sulla sedia, allaccio le scarpe. Sistemo il risvolto del pantalone che mi calza tanto elegante.
Sono pronto. Esco di casa, chiudo la porta dando un solo giro di chiave. Sono certo basterà.
Faccio le scale che mi portano dal terzo piano all'uscita della palazzina. Sento il suono di ogni mio passo, limpido e unico, sicuro, deciso.
Esco, piove. La nebbia sembra non esserci più, ieri sera era foltissima.
L'ombrello non l'ho preso, ma è stucchevole dover tenere il braccio alzato . Pensate se la gente girasse con un braccio alzato, di continuo. Pf, sarebbe comico.
Cammino verso il parco che dista circa 10 minuti da casa mia. Cammino veloce, imperterrito, a testa bassa. Calcio i sassolini che vedo per strada, senza un senso apparente, e tanto meno reale.
Non ha un senso, ma lo faccio con decisione, quindi deve essere per forza la cosa giusta.
Entro nel parchetto. Alzo lo sguardo. Il ragazzo là in fondo sta correndo, la ragazza che sta entrando con me cammina velocemente e tiene un cane al guinzaglio.
Improvvisamente mi accorgo di avere caldo, vorrei togliere ogni vestito che ho addosso, ma sono in mezzo ad altre persone.
Sono a disagio.
Tiro fuori il mio pacchetto di Chesterfield rosse; quelle che si che son sigarette. Accendo la prima sigaretta. Il silenzio assordante del tabacco bruciare mi travolge. In poco tempo la finisco, la getto a terra e la calpesto per assicurarmi di averla spenta.
Corro indietro fino a casa.
Tiro fuori un’altra sigaretta. La fumo davanti casa, so quanto l’odore di fumo disturbi i vicini.
Faccio fatica a trovare le chiavi del portone con la sigaretta ancora in bocca. Ecco, l’ho trovata. Adesso faccio fatica ad inserirla nella serratura. Fatto. Corro lungo le scale, sono al terzo piano. Con un po' di fatica inserisco le chiavi nella serratura. La apro. Entro. La casa è vuota, come sempre poi.
Non ci penso, lancio le scarpe in corridoio, tolgo il cappotto slacciando uno per uno i 3 bottoni, dall'alto verso il basso, e lo getto sul divano davanti a me. Tolgo ogni altro vestito rimasto a coprire il mio corpo. Getto gli indumenti per terra, di fianco al tavolo di legno massiccio, comprato oramai qualche anno fa.
Vado allo specchio. Mi guardo. Sono nudo, ma mi sento ancora a disagio.
Devo togliere ancora qualcosa. Non so che cosa. Niente più eleganza, la certezza rimane subdola, inutile, o meglio, inesistente.
Non è mai esistita.
Sono insicuro, e quando devo essere io a guidare il timone, mi lego a stupidi dettagli, come i bottoni del cappotto, o come la descrizione di quel tavolo. Mannaggia a me.

Sono vuoto, non ho legami, non so chi sono.
Apro la finestra, sento un freddo incredibile. Mi siedo sul davanzale, ma non avendo certezze, non so cosa fare. Sento una mano sulla spalla, ho la speranza che qualcuno mi tiri via da lì. Ma non succede. Io non mi volto.
Non vedo niente, se non la staccionata della casetta di fronte alla mia palazzina.
Poi sento una pressione, lieve. Una spinta.
La mano appoggiata sulla mia spalla mi spinge giù.
Cado, denudato di ogni cosa, tranne del fatto che nell'esatto momento in cui mi ero seduto sul davanzale, e avevo sentito quella mano appoggiata a me, avevo la speranza di poter tornare coi piedi per terra, ed essere salvato.
Lo sapevo io, che stavo bene con la testa, che ero normale, e che ero rimasto attaccato alla vita.
Ma credo proprio di essermene accorto troppo tardi.


EL

mercoledì 1 marzo 2017

SALI SULL’OLIMPO DEI VINCITORI, NON TI BASTERA



SALI SULL’OLIMPO DEI VINCITORI, NON TI BASTERA’



Facendo le scale mi pareva di barcollare.
Salivo gli scalini uno ad uno, con calma e pacatezza. Il braccio sinistro non si staccava del muro, alla ricerca continua di equilibrio.
Ogni volta che arrivavo alla fine delle scale avevo il palmo della mano completamente bianco, e ruvido.
In realtà ho mentito, non le finivo. Ma mi capitava di fermarmi, per chiedermi ancora una volta dove ero diretto.
Tiravo un sospiro di sollievo, volgevo il capo verso l’alto, per tentare di scorgere la vetta, ma al più vedevo qualche barlume di luce, pure sfocata.
A quel punto, riabbassavo la testa e riiniziavo a salire le scale. Ad ogni scalino, la fatica aumentava.
Una goccia di sudore dopo l’altra accarezzava il mio volto e cadeva a terra, facendo un rumore assordante.
Non volevo affannarmi, ma ogni tanto mi capitava. In quelle occasioni mi fermavo e pensavo: “ma se scendo le scale, non faccio fatica…”

- Non pensarlo nemmeno per un attimo. Se torni indietro adesso, non risali più. Ti fermi lì, e ti accontenti del buio.
Non contano nulla gli scalini verso l’alto, se poi torni indietro-

“Ok, riprendo a camminare “
Il sudore mi penetra negli occhi. Brucia. Se mi fermo e guardo verso l’alto, sento ancora più male. Il mischiarsi della luce sfocata, agli occhi pieni di sudore mi può uccidere.

- Non hai mai visto la luce, non puoi pretendere che non ti faccia male. Non pensare agli scalini ancora da fare…potrebbero essere 10, 100, forse 1000.-

Riparto, ed iniziano a farmi male anche le ginocchia, poi crollo. Mi cedono le gambe. Perdo il contatto del palmo della mia mano dalla parete. Le lacrime si prendono il possesso del mio volto, e non lo abbandonano. Il sudore si mischia alle lacrime.
Appoggio le nocche delle mani sul gradino più alto rispetto al mio corpo, e facendo leva, mi faccio forza per salire ancora un po’, e ancora un po’, e ancora un po’, finché le nocche non iniziano a sanguinare.

- Sei arrivato. Fa Male?

Sei arrivato così in alto, che hai avuto il desiderio di andare ancora più su. Vedi il sangue delle nocche perché la luce è forte, al buio non lo avresti mai visto.

Scendere è finalmente più difficile di quanto non sia salire.

Arriverai, proprio quando non vorrai più scendere. E non arriverai mai, perché la luce è bella, ma il sangue delle nocche ti sembra quasi di colore nero.  Se è vero che “un uomo senza sangue muore, no?”, è vero anche che un uomo senza obiettivi sopravvive, ma non vive. 

La luce batte il buio perché il buio è vigliacco. Copre ogni cosa, ti rende debole, affabile, e se non sei audace, ti mette le catene, e quelle scale, che pur puoi immaginare, ti paiono lontanissime.
Ma quando togli le catene, e sali sull’olimpo dei vincitori, e non ti senti arrivato, solo l’olimpo degli Dei potrebbe tentarti. 

Hai bisogno degli estremi per essere ciò che vuoi essere. Di estremi si vive o si muore, ma non si sopravvive.
Non ti accontenti della mediocrità. Quella la lasci a chi si illude che sia bello e libero brancolare nel buio.


sabato 29 ottobre 2016

LA LUNA NUOVA - OTTOBRE 2016

PUBBLICATO IL NUMERO  DI OTTOBRE 2016 






IN FONDO BASTA POCO

TERZA PAGINA



Di Andrea Fratti
(Direttore)

Giovanni Papini, nel 1953, scriveva: "In molte, in troppe case italiane, non c’è altra carta stampata che quella dei giornali appesi a un gancio delle latrine"; nel 1994, Indro Montanelli lo correggeva, aggiungendo che, da quando c’è la carta igienica, i giornali non si trovano più nemmeno nei bagni. Oggi, parlandoci onestamente, in bagno portiamo smartphone o tablet, le notizie sono ridotte ai titoli dei post, le discussioni si calcolano in battute, all’autorevolezza delle fonti è preferita la varietà infinita, la sostenibilità di una tesi è valutata in “like” e la forza di un’opinione si basa sulle sue condivisioni. In quanti leggono nel dettaglio i giornali? In quanti approfondiscono argomenti d’interesse? Non sembra essercene più bisogno, visto che i mezzi di comunicazione ci bombardano con tonnellate di news, creando una rete nella quale chiunque può alimentare qualsiasi tesi (dalle notizie su improbabili cure miracolose a quelle sui metodi per diventare ricchi in 5 minuti) ed in cui tutto è collegato in diretta.
Che speranze di vita può avere, in un simile contesto, una rivista con cadenza semestrale e che parla di Palagano e dintorni? Non è condannata inevitabilmente ad essere costantemente fuori tempo e fuori posto?
Entrando formalmente ne “La Luna nuova”, mi sono fatto queste domande e, come sempre, non ho trovato risposte precise. Ho l’impressione, però, che per conoscere un argomento non sia sufficiente leggere dei titoli, infilarsi in un litigio indistinto sotto ai post, scorrere con gli occhi qualche riga scritta, non verificando mai l’autorevolezza delle fonti. Mi pare che ci sia un abisso tra comunicazione ed informazione e sono certo che l’ubriacatura comunicativa, di cui siamo quotidiane vittime, non possa e non debba colmare il bisogno di una scoperta e di una conoscenza più approfondite e solide.
Insomma, solo perché c’è tanta confusione, non bisogna per forza adeguarsi; solo perché il dibattito si è ridotto al pettegolezzo nascosto o agli attacchi fugaci sui social network, non vuol dire che non si possa fare diversamente; solo perché tutti si nutrono di titoli immediati ed immediatamente dimenticabili, non è obbligatorio non alimentare altri “appetiti”. D’altronde, mai come oggi, chi si accontenta del presente è destinato a diventarne una vittima.
“La Luna nuova” è un periodico con mille limiti, con altrettanti difetti, ma è il tentativo di offrire qualcosa di più e qualcosa di diverso, anche a costo di annoiare, anche a costo di lasciarsi andare a giudizi, anche a costo di sacrificare un’imparzialità fragile e di facciata in nome di una parzialità sincera e manifesta. Si può provare a capire quello che succede in paese, è lecito fare domande, coinvolgere i diretti interessati, creare occasioni di dibattito, ipotizzare, consentire le repliche e garantire le rettifiche: anche se la marea di news dal mondo ci ha anestetizzati, è possibile informarsi meglio e lo si può fare a partire da casa propria.
Conoscere la realtà quotidiana e le persone che la abitano non è un dovere morale (non sia mai…), ma è almeno la premessa per alimentare l’interesse individuale a vivere in un posto sempre un pizzico migliore.
In fondo, basta poco.
Buona lettura.






ELEZIONI AMMINISTRATIVE

Fatti e misfatti


A ormai diversi mesi di distanza, possiamo guardare
ai risultati delle elezioni amministrative locali
con un'attenzione ed una calma inedite





Di Andrea Fratti


La prima certezza è che il 5 giugno 2016 i cittadini di Palagano hanno scelto un sindaco, Fabio Braglia, rinnovando la fiducia nei suoi confronti ed accordandola alla sua lista ("Palagano presente"), che è quasi completamente mutata rispetto al precedente mandato.
In questa sintetica analisi, mi pare giusto iniziare dai dati inconfutabili: su 1942 elettori totali, il 61% circa si è recato alle urne, toccando dunque i 1194 votanti complessivi; 609 donne e 585 uomini hanno espresso 1040 voti validi, mentre le restanti 154 schede sono state lasciate bianche o nulle. L'eventualità del non raggiungimento del quorum è stata evitata e, già nella prima serata del 5 giugno, Palagano poteva festeggiare il suo sindaco democraticamente scelto.
Statistiche e numeri, però, non devono mai bastare a loro stessi e, anzi, invitano ad un'osservazione più approfondita, che, nel presente caso, desta non poche preoccupazioni.
Il primo, evidente, aspetto da sottolineare è il fatto che si sia presentata una sola lista. In 5 anni di amministrazione Braglia, è possibile che nessuno abbia covato il desiderio (assolutamente legittimo) di proporre un'alternativa, manifestandosi apertamente?
Difficile credere che, in un arco di tempo tanto lungo, ci siano stati solo cittadini soddisfatti e non siano sorti progetti politici alternativi. Eppure, nulla di concreto è stato fatto. L'assenza di una pluralità di candidature è un segnale preoccupante, che testimonia un allontanamento ed una disaffezione per la "cosa pubblica". Evidentemente, la partecipazione attiva alla vita politica di una realtà limitata come Palagano non rappresenta più un vanto, non garantendo particolari vantaggi ipotizzabili (fama, status e non solo), ma comporta più che altro un peso sgradito di seccature, lamentele e grattacapi. Ma se i palaganesi non vogliono amministrare Palagano, chi lo deve fare al loro posto? Se manca la volontà di gestire il proprio comune, è ancora giusto che lo stesso comune esista? Questi sono quesiti volutamente provocatori, ma più che legittimi, alla luce dei fatti.
Sicuramente, in un periodo di grandi preoccupazioni individuali (principalmente di carattere economico), il valore dell'impegno politico è scivolato progressivamente fuori dal campo visivo e, al massimo, ne è rimasta solo una carcassa formata da brontolii, lamentele e segrete polemiche alzate da chi parla sottovoce, ma non agisce concretamente.
Altro aspetto conseguente è lo svuo-tamento sostanziale della scelta elettorale: il gioco democratico, in mancanza di liste e di candidati alternativi, si annacqua, trasformandosi in una selezione forzata. Nel momento stesso in cui la scelta non è tra due o più candidati, ma solamente tra l'andare o il non andare a votare, si chiamano in causa principi di valore totalmente estranei alla regolare programmazione elettorale: non si valuta più la lista migliore ed il programma politico più convincente, ma si ragiona soltanto sul diritto/dovere di recarsi alle urne. L'illustrazione del programma si svuota inevitabilmente e si calca la mano sul senso civico di partecipare alla questione pubblica con il proprio voto, come se l'assenza di altre liste non avesse già sufficientemente dimostrato l'agonia di una simile partecipazione attiva. Insomma, l'elezione non agisce più tanto sul livello politico, ma si sbilancia completamente sul piano del dovere morale e civile, che invece dovrebbe essere garanzia aprioristica a quello politico.
Il quadro assume tinte ancora più preoccupanti se si considera ciò che è capitato a Montefiorino, dove (anche se dopo vicende differenti) si è verificata la medesima condizione elettorale, con una sola lista candidata.
Ora mi e vi chiedo: è un caso che nei nostri due comuni, tanto simili a livello demografico, storico e sociale, si siano presentate queste due situazioni in contemporanea? Simili coincidenze hanno sempre il sapore delle non-coincidenze.
Se comuni tanto limitati demograficamente perdono la voglia di amministrarsi, a cosa stanno andando incontro? Davvero le ipotizzate fusioni tra piccoli comuni sono campate in aria? I cittadini come pensano di meritarsi l'esistenza e la crescita del proprio paese? Come sempre, il tempo sarà giudice, ma, di certo, la vera sfida di queste nuove amministrazioni (alle quali vanno i nostri complimenti, anche per il solo fatto di averci “messo la faccia”) sarà quella di capire lo scollamento tra la vita politica e quella privata, individuandone le cause, sperimentando rimedi, per provare faticosamente a ricucirne lo strappo.
Nuove forme e nuovi strumenti sono urgentemente richiesti, ricordando come la partecipazione attiva sia l'unica condizione necessaria alla vita ed alla sopravvivenza del paese. Il comune, soprattutto nel caso di Palagano, non è una struttura imposta dall’alto, ma appartiene alla gente, che, come dovrebbe sempre accadere, avrà, anche in futuro, ciò che dimostrerà di meritare.






ACCOGLIENZA DIFFICILE MA NECESSARIA

Attualità

Un progetto di accoglienza a Palagano


Di Chiara Cavazza

"I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio”. (Papa Francesco)

Il 10 settembre 2013, papa Francesco, con il suo solito parlare semplice e capace di andare dritto al cuore delle questioni, interveniva al Centro Astalli di Roma (realtà dei gesuiti che gestisce l’accoglienza dei rifugiati nella capitale) con queste inequivocabili parole: “Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio”.
Da allora, l’eco delle sue affermazioni è giunto fin sui monti di Palagano ed è riuscito ad attraversare le mura del nostro convento, forse un po’ addormentato, dando una bella scossa alla routine quotidiana e alle nostre tranquille abitudini. Come poter raccogliere l’invito, piuttosto pressante, affinchè anche la nostra casa potesse diventare luogo di accoglienza per chi non ha casa? Certo, tutti conoscete bene il secolare convento francescano che, fin dalle origini, si è sviluppato ed è sorto proprio con l’intento di accogliere e accompagnare chi, in queste zone montane, aveva maggiori necessità. Nel XIX secolo si trattava in primo luogo di bambini e ragazze che, abituati alla dura vita nei campi e nel lavoro agricolo, non avevano modo di studiare, ed ecco perché, piano piano, l’edificio è cresciuto, si è allargato, si è innalzato... come fare a contenerli tutti? Come poter accogliere le insegnanti e le suore che a questo prezioso servizio si dedicavano, quando ancora lo Stato non forniva i servizi pubblici necessari?
I tempi però cambiano e, anche se forse in pochi vi siete azzardati ad entrare nei meandri del convento, tutti potete immaginare che una buona parte di quei locali, in passato ricchi e pieni di vita, sono ora poco utilizzati. Ecco perché le parole del Papa sono giunte a noi come una provocazione a cui non potevamo non rispondere e che già da tempo prendeva piede nei nostri incontri e nelle nostre fraternità: come potere nuovamente “aprire le porte” della nostra casa e mettere a servizio di tutti gli ampi spazi nei quali abitiamo?
è così che, tra le tante stanze che mettevamo a disposizione di amici e persone che desideravano trascorrere un po’ di tempo a Palagano, abbiamo ritenuto possibile trovarne un paio da offrire alla comunità per questa situazione di emergenza umanitaria mondiale.
Questo lungo preambolo, forse un po’ noioso, era a mio modo di vedere necessario per chiarire, da subito, come è nato questo progetto, cioè dal semplice desiderio di provare a fare qualcosa, nel nostro piccolo, per l’emergenza di fronte alla quale ci troviamo, raccogliendo le forti parole che il Papa ha indirizzato, in maniera specifica, a noi religiose. E’ così che abbiamo iniziato a confrontarci, prima di tutto all’interno della nostra fraternità, poi con il sindaco, poi con altri amici... e abbiamo maturato la decisione di provare a risistemare gli ambienti del vecchio asilo per renderli idonei all’accoglienza di alcuni rifugiati, tra quelli che la Prefettura di Modena ha assegnato al Comune di Palagano o che, attraverso altri canali, si fossero presentati alle nostre porte.
Al momento, assieme ai rappresentanti del Comune di Palagano, abbiamo già preso contatto con la cooperativa che è stata incaricata dalla Prefettura di Modena di ripartire i rifugiati nel nostro territorio, ma, come purtroppo spesso accade in questi casi, la burocrazia e i passaggi istituzionali complicano un po’ le cose e allungano decisamente i tempi. Speriamo che questo progetto possa concretizzarsi senza dover lasciare passare troppo tempo ma, se così non dovesse accadere, certamente proveremo altri canali, tra i tanti, per poter tenere fede all’impegno preso. Inoltre credo che questo spazio di attesa possa essere importante anche per informare la popolazione su quanto sta accadendo, affinchè tutto avvenga nella massima chiarezza possibile e possa pian piano diventare espressione di una comunità che da sempre si è caratterizzata per la generosità e la sensibilità verso chi ha bisogno.
Approfitto di queste righe per ringraziare infinitamente i tanti palaganesi che ci hanno dato una mano in questa ristrutturazione “casalinga” a costo zero, attraverso il riciclo di tanti mobili ed oggetti dismessi, e hanno permesso di creare un piccolo, ma confortevole ambiente che ora attende solo i suoi nuovi inquilini; un grazie anche a tutti quelli che, venuti a conoscenza di questo progetto, si sono resi disponibili successivamente per aiutare nell’integrazione e nel coinvolgimento all’interno della nostra comunità.
Come sempre accade in questi casi, sono tante le voci e le opinioni in proposito e sono tutte lecite e comprensibili: in tempi di crisi e difficoltà per tutti, è giusto alzare la voce anche rispetto alle povertà e tragedie che quotidianamente viviamo noi in prima persona e non dobbiamo assolutamente dimenticarle o farle passare in secondo piano. Credo però che questo non impedisca, nello stesso tempo, di allargare il nostro sguardo anche verso chi è più lontano, verso l’intera umanità che, ci dicono le statistiche, è costituita da una persona rifugiata ogni 122 abitanti e che, dal 1° gennaio 2016, è sbarcata sulle coste italiane nel numero di circa 132.000 persone. Siamo convinte che questo sforzo di accoglienza, difficile ma necessario, ci permetterà di ritrovare slancio e creatività anche per la nostra comunità, per i nostri vicini, per trovare nuovi e ulteriori modi di “accogliere” e “aprire” i nostri spazi a chi ha bisogno. Quindi, se qualcuno di voi ha qualche idea in proposito, affinché lo stesso stile di accoglienza possa realizzarsi anche in altro modo si faccia avanti! Noi ci siamo!