Luna Blog

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domenica 30 agosto 2015

EXPONIAMO: SECONDO PALIO DELL'ASINELLO SPAVENTAPASSERI



Di Davide Bettuzzi
 
Grande successo del "Palio dell'asinello spaventapasseri" organizzato dagli abitanti di Lama di Monchio, quest'anno alla seconda edizione.

Vincente è stata l'idea di coinvolgere anche gli abitanti dei paesi vicini, che hanno aderito con entusiasmo.

In poco tempo sono comparse decine di spaventapasseri, fantocci, creazioni fantasiose che hanno ornato strade, piazze e aie da Saltino a Boccassuolo.

Il 19 luglio una commissione giudicante ha visionato tutte le creazioni e decretato i vincitori.

L'esposizione continua fin quando le condizioni climatiche e il trascorrere del tempo lo permetteranno.

Un consiglio? Un bel giro turistico da Saltino a Boccassuolo passando per Monchio, Lama di Monchio, Costrignano, Susano, Savoniero e Palagano.

E... occhi aperti!



 

MONTEMOLINO: FONTANA DEL CICLISTA




Di Gabriele Monti
 
Chi si è trovato a percorrere la provinciale per Lama Mocogno, avrà certamente notato un tubo che dal muro che costeggia la strada a Montemolino, da tempo immemorabile, eroga acqua tutto l’anno. E’ sempre stato ristoro per viandanti, ma soprattutto per i ciclisti che, con grande comodità, potevano riempire le loro borracce, senza neppure scendere dalla bicicletta.

Ora, da una brillante idea di Afro Lami, è stata realizzata la "Fontana del ciclista" leggermente spostata rispetto alla precedente posizione, ora all’angolo del parcheggio, per cui chi si ferma non costituisce pericolo per il traffico.

Alla realizzazione hanno partecipato il gruppo ciclisti e numerosi simpatizzanti, ma in particolare, meritano un ringraziamento speciale i "maestri muratori": Ugo Cinqui, Onorato Bertugli, Ido Calicetti, Dino Rossi e Renzo Sassatelli che hanno realizzato l’opera muraria in maniera del tutto gratuita. Infine si vuole ringraziare l’Amministrazione comunale per aver fornito il materiale necessario.

La fontana è "impreziosita" da una pietra scolpita da Afro che rappresenta in forma stilizzata un ciclista impegnato un una discesa mozzafiato. L’inaugurazione è avvenuta il 2 agosto.



LA PALAGANEIDE TRA LETTERATURA E CULTURA POPOLARE

Ancora una volta un lavoro di ricerca mosso dall’interesse per la storia e la cultura del nostro Appennino
 
dI Martina Galvani
 
La tesi di Erika Baschieri, intitolata "La Palaganeide: tra letteratura e cultura popolare", indaga e analizza quel poemetto "dedicato" al nostro «bel paese» e ai suoi «cervelli fini», scritto da Gaetano Nizzi (1873-1917) tra la fine del ‘800 ed i primi ‘900. Non solo ne mostra la struttura e i contenuti, ma tenta anche un confronto tematico con la celebre opera tassoniana, La Secchia rapita; utilizza infine il lascito letterario di Nizzi per una ricostruzione storico-culturale del contesto in cui il testo si sviluppa.
L’allora giovane parroco di Rotari - piccola frazione nei pressi di Fiumalbo - descrive le vicende dei palaganesi, attingendo alle storie di paese nonché alla propria fantasia. In sei canti, che compaiono periodicamente sul giornale Pierpaolo, narra dell’ingenuità di quei montanari-eroi che cercano a Livorno l’intelletto e decidono di fabbricarsi la grande luna che desiderano. Stravolgendo il genere epico e cavalleresco, Tanino mostra una combriccola di "astuti" paesani che accompagnano il lettore in una serie di vicissitudini e sventure; caricature o maschere di "tipici" personaggi di paese, che vengono dipinti con goliardia benevola. La solennità della narrazione epica viene abbassata attraverso particolari grotteschi o fuori luogo. Ma non c’è alcun disprezzo nell’utilizzo di elementi volutamente esagerati e carnevaleschi, piuttosto la comicità si trasforma in una modalità di riflessione su tematiche di notevole profondità, come la vita, la condizione umana e la morte. Viene dato ampio spazio ad elementi concreti e materiali - ad esempio riferimenti a particolari corporei e alle sue funzioni più sconvenienti - che abbassano il tono del racconto, ma che solo apparentemente mancano di rispetto alla dimensione più alta dello spirito umano. Facendo riferimento alle opere e alla poetica di Rabelais, Erika nota infatti come l’utilizzo di immagini materiali ineriscano ad un determinato stile letterario; questo tipo di linguaggio permette di conquistare una più ampia confidenza con la natura umana e con il mondo, partendo dal basso. In linea con tale specifica modalità di indagare l’uomo e il reale, il focus del lavoro si sposta su uno degli episodi più conosciuti del poemetto, descritto nel primo canto: la perdita della testa del saggio Barba Gianni che, alla ricerca del giudizio con alcuni compari, si cala in pendio scosceso e viene decapitato da un lupo.
Anche in questo caso il particolare macabro è un modo di esorcizzare, attraverso il riso, la paura suscitata dalla difficoltà di comprendere l’esistenza e la morte.
Nizzi impiega poi molti elementi significativi, ampliamente utilizzati nella storia della letteratura: l’asino, simbolo antico di umiltà e docilità, ma anche di stupidità e mancanza di intelletto, presente già nella Bibbia e poi ripreso da Apuleio, Collodi e dai fratelli Grimm; la luna, tradizionalmente simbolo di follia, del cambiamento, ma anche della femminilità e infine il tema del viaggio e della ricerca, "filo rosso" che lega i diversi episodi tra di loro.
Il lavoro di Erika prosegue con un approfondimento storico-culturale del contesto in cui l’opera fu scritta e si conclude con un’indagine su ciò che rimane di questi racconti, non solo nella bibliografia esistente, ma anche nella vita del nostro paese. Dalla tradizionale Festa dei Matti - che si riferisce goliardicamente all’immagine che Tanino creò degli eroici palaganesi - al periodo di scherzi ideati dalla combriccola della S.E.G.A. che si sono susseguiti negli anni novanta, dando così testimonianza dell’astuzia leggendaria ereditata, in qualche modo, da Barba Gianni, Marietta, Bortolino e dai suoi.
 

 

 

18 MARZO 2015: 71° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE

Trasmettere il ricordo e la memoria è un compito dei testimoni e di quanti hanno vissuto il dramma; ascoltare le testimonianze, ricavarne una riflessione sui temi della convivenza pacifica e della tolleranza è un compito della scuola; impostare la propria azione politica e le proprie scelte affinchè questi orrori non si ripetano è compito della classe politica.
 
 
 
Di Patrizia Dignatici
 
Anche quest'anno diversi sono stati i momenti dedicati al ricordo della strage di Monchio, Costrignano, Susano e Savoniero.

Il giorno 18 marzo Armando Tincani, che all'epoca della strage aveva sei anni e mezzo ha portato la sua testimonianza agli alunni della Scuola Primaria di Monchio: suo padre, accorso in aiuto di un vicino di casa a cui era stata incendiata la stalla, venne ucciso con un colpo di rivoltella alla fronte, davanti al figlio.

Trasmettere il ricordo e la memoria è un compito dei testimoni e di quanti hanno vissuto il dramma; ascoltare le testimonianze, ricavarne una riflessione sui temi della convivenza pacifica e della tolleranza è un compito della scuola; impostare la propria azione politica e le proprie scelte affinchè questi orrori non si ripetano è compito della classe politica.

Ecco perchè erano presenti a scuola anche il sindaco Fabio Braglia e l'assessore Pamela Barbati che in un secondo momento si sono recati al monumento nel parco di Monchio per un omaggio alle vittime della strage.

Venerdì 20 si è svolta la via Crucis della Strage a Monchio all'aperto: in ogni stazione sono stati letti testi che ricordavano i principali avvenimenti della strage in un'atmosfera densa di commozione, ma anche di fede nella condivisione della preghiera per la pace.

Il giorno successivo a Costrignano c'è stata la camminata sui luoghi della strage.

Alla partenza Ferruccio Pigoni ha raccontato alcuni momenti di quel 18 marzo e della morte di suo padre. Il gruppo di escursionisti, guidati da Roberto Tincani, è quindi partita per una camminata che ha toccato diversi luoghi significativi dell'eccidio.

Alla sera, nel teatro di Palagano è stato proiettato il film documentario "La brezza degli angeli" di Stefano Ballini, alla presenza dell'autore.

La "Brezza degli Angeli" è una metafora: è la storia di un bambino nato nel 1924 a Greve in Chianti e morto di tifo nel 1927, che oggi a settanta anni da allora, attraverso la brezza che soffia, racconta al suo unico fratellino rimasto in vita ormai settantenne, alcune storie di bambini morti nell'anno peggiore del secolo scorso: il 1944.

La storia parte da Greve in Chianti e si snoda attraverso Monchio, Vallucciole di Stia, Sant'Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio, Vinca e Marzabotto.

Il giorno 22 si è infine tenuta a Costrignano la commemorazione ufficiale del 71° anniversario alla presenza di molte autorità, tra le quali il presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonacini e il Ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti.

Numerosi i gonfaloni e gli stendardi di comuni, della provincia, di associazioni, ma soprattutto numerosi i residenti del territorio, nonostante le condizioni climatiche non favorevoli.

Durante la Messa, i bambini della Scuola Primaria hanno cantato la canzone della strage e hanno fatto dono alle autorità di una loro creazione dell'Albero della Pace, accompagnata da queste parole: "Noi bambini di questi paesi siamo bambini fortunati: non conosciamo la guerra, non conosciamo la fame, possiamo stare all'aria aperta a giocare in sicurezza, senza paura, non siamo costretti a lavorare per aiutare le nostre famiglie, andiamo a scuola, siamo circondati da persone che ci amano. Sappiamo pero' che non è sempre stato così. Sappiamo, attraverso i racconti dei nostri nonni e le testimonianze di alcuni anziani che qui la guerra ha portato via tante vite innocenti, sappiamo che un giorno qui si è scatenato l'inferno

Nel parco di Monchio sono stati piantati 136 alberi, ognuno dei quali ricorda una vittima del 18 marzo. In quel parco noi andiamo spesso a giocare e per noi quello è un luogo di pace e gli alberi sono un segno di vita.

Gli alberi, soprattutto per noi che abitiamo in montagna, ci sono sempre attorno rendendo l'ambiente in cui viviamo più bello e l'aria più pulita. sugli alberi ci arrampichiamo e sotto gli alberi ci riposiamo. Ecco perché abbiamo deciso di farvi dono del nostro Albero della Pace che abbiamo dipinto anche sul muro del cortile della scuola. E' un albero con radici profonde, ma con rami che si alzano verso il cielo.

Le sue radici partono dalla terra che ha visto la strage, ma i suoi rami sognano un futuro di pace specialmente per tutti quei bambini che vivono nei paesi ancora in guerra, anche poco lontano da qui".

A causa della pioggia, non è stato possibile realizzare il murales previsto sul muro che dalla piazza di Monchio porta verso Santa Giulia, ma i ragazzi del Collettivo FX di Reggio Emilia, i sono impegnati a realizzarlo appena la stagione sarà più favorevole.
 


E' MORTO PADRE ANTONIO CAPITANIO





Di Davide Bettuzzi
 
Il 7 agosto padre Antonio Capitanio, è deceduto. Nato nel 1933 a Capriate S. Gervasio (BG), membro della comunità dei padri dehoniani a Palagano, venne nominato parroco di Boccassuolo nel 1973, incarico che mantenne per oltre 20 anni quando fu chiamato a Milano in seguito alla nomina di Procuratore Generale delle missioni dei padri dehoniani. Attualmente era parroco a Castiglione dei Pepoli (BO).
Nel 1985 fondò, assieme a parrocchiani di Boccassuolo, Palagano e dintorni, l’associazione S.C.I.L.L.A. alla quale restò sempre legato profondamente. A maggio di quest’anno era presente all’Assemblea Generale ed ha potuto festeggiare con tutti i soci e sostenitori il trentennale di fondazione. All’assemblea erano presenti anche Sr. Carmen Pini e Suor Tertesa Fontana missionarie in Benin e Madagascar negli anni in cui l’associazione ha iniziato ad operare.
Ciao padre Antonio e grazie di tutto quello che hai fatto e che ci hai insegnato. Dopo una vita che hai dedicato instancabilmente e completamente al lavoro e ad aiutare gli altri ci piace pensare che ora puoi un po’ riposare e custodirci da lassù.
 

GIOVANI ALLA CONQUISTA DELLA ROCCA




Di Gianluca Giannini

Dopo essersi consolidata sul territorio appenninico con eventi quali "Supergulp" e "Gulp Arte", facendo dell’attivismo giovanile e dell’organizzazione di attività artistico-culturali il proprio cavallo di battaglia, una nuova sfida attende l’Associazione Culturale "Rock’s" di Montefiorino.

Il progetto "Giovani alla conquista della Rocca", elaborato meticolosamente dai ragazzi dell’associazione, si pone come obiettivo la gestione e la promozione del nuovo "Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino e della Resistenza Italiana", oltre che la valorizzazione, mediante organizzazione di eventi culturali, degli spazi della Rocca Medioevale.

In una situazione di crisi occupazionale, come quella attuale, finalmente i giovani della montagna intendono mettersi in gioco come nel momento simbolo di riconquistata libertà e democrazia chiamato "resistenza"; gli stessi giovani che intendono proporsi per riconquistare e rinnovare il senso di quel periodo storico e riaffermare il concetto di cittadinanza attiva, promuovendo un sistema virtuoso di relazioni sociali  e culturali, una vera rivincita per riaffermare la fiducia in se stessi, per chi si è visto privato della propria professionalità o per chi, pur di trovarla, si credeva costretto a trasferirsi in contesti professionalmente più attraenti.

L’Associazione Culturale Rock's, presente sul territorio dal 2005, vuole dimostrare con questa attività che le nuove generazioni, grazie al loro forte senso di appartenenza, possono promuovere e gestire un bene culturale, quale la Rocca di Montefiorino di cui si intendono valorizzare gli spazi, attraverso relazioni specifiche e azioni speciali.

Questo obiettivo non si sarebbe mai potuto concretizzare senza la disponibilità e la sinergica collaborazione dell’amministrazione comunale di Montefiorino, di Lapam e CNA a cui si è aggiunto il finanziamento proveniente dalla vincita del bando "Giovani per il territorio" promosso dall’Istituto Beni Culturali dell’Emilia Romagna.  

Credere nei propri valori territoriali sarà il vero punto di forza che ci permetterà di coinvolgere i vari soggetti che operano nel territorio al fine di creare una rete di interazioni per dimostrare che si è in grado di organizzarsi in modo credibile, omogeneo e innovativo.

Sono stati coinvolti, tramite un bando, adolescenti e giovani adulti fino ai 35 anni (studenti, disoccupati, disabili e soggetti di marginalità sociale) per favorire una gestione empatica di un bene che appartiene alla nostra storia vera. Il loro piano di lavoro coinvolgerà le indiscutibili peculiarità del nostro territorio appenninico e le svariate potenzialità turistiche (raramente sfruttate): l’aspetto naturalistico, artigianale e artistico, sportivo e gastronomico.

L’obiettivo del progetto è quello di portare i giovani a credere nelle potenzialità del proprio territorio per arrivare alla riqualificazione culturale di una ricchezza che appartiene alla propria storia, mediante la valorizzazione degli spazi della rocca medievale di Montefiorino che permette di introdurre anche tematiche di discussione più attuali (il ruolo della donna attraverso la riflessione sul personaggio storico di Matilde di Canossa e il tema della libertà attraverso il ricordo delle vicende partigiane, mediante l’inaugurazione del nuovo allestimento del museo Repubblica di Montefiorino e Resistenza Italiana, avvenuta il 18 aprile).

L’aspetto fondamentale del progetto riguarda le potenzialità legate all’occupazione giovanile pur intesa nell’ambito no profit.

Si intende formare una generazione di giovani che grazie alla presa di coscienza della propria storia possa mettersi in gioco e raggiungere la propria crescita personale e professionale in ambit culturale o turistico.

L’attività di gestione e promozione del bene culturale affronta gli aspetti della cultura in modo trasversale coinvolgendo, tramite un’operazione creativa e innovativa, una utenza di maggior respiro grazie a collaborazioni tra enti, associazioni locali e provinciali, con l’obiettivo di giungere a una sinergia nazionale e internazionale.

L’intervento prevede, tramite azioni/funzioni trasversali rispetto le due tematiche storiche, di rendere speciale e dinamica la vitalità della rocca di Montefiorino: ospitare reading letterari, musicali e cinematografici, performance teatrali, simposi di arte figurativa. Queste attività consentiranno di attivare aperture straordinarie soprattutto notturne, un approccio trasversale e totale al bene culturale; tramite performance di "Video Art" già collaudate si intende elaborare l’aspetto creativo/figurativo della storia, per trasmettere significati narrativi fortemente empatici. Altro aspetto innovativo sarà reso possibile dalla confidenza dei giovani con le tecnologie informatiche e multimediali.

Insomma una vera e propria "boccata d’ossigeno" per il turismo e la cultura dell’Appennino, una valorizzazione delle nostre peculiarità storico/territoriali che fonda solide basi su idee innovative e la grande voglia di mettersi in gioco da parte di giovani motivati a dimostrare il proprio amore nei confronti dei luoghi in cui sono cresciuti. Finalmente l’occasione di rendere partecipe il mondo della "grande bellezza" che ogni giorno abbiamo sotto gli occhi e che, troppo spesso, si tende a dare per scontata.


200.000 PERSONE IN UNA SOLA PIAZZA

 
Per far valere il proprio diritto ad una vita sana e serena, lontana da quella "bestia" che da anni pone le sue radici nella paura e nel dolore di innocenti: la mafia. Tanti i ragazzi del liceo Formiggini, di cui è parte anche il liceo di Palagano, al corteo organizzato da "Libera" a Bologna il 21 marzo.
 


 
Di Mattia Perini
 
Un record straordinario che nemmeno il primo giorno dell’EXPO è riuscito a superare.

Una motivazione, un’etica comune ci ha spinti, tutti e 200.000, ad unire le nostre voci in un immenso urlo di ribellione; provenienti da diverse città, diverse regioni e diversi Stati, ma tutti in grado di far valere il proprio diritto ad una vita sana e serena, lontana da quella "bestia" che da anni pone le sue radici nella paura e nel dolore di innocenti: la mafia.

Credo che nessuno sia in grado di immaginare 200.000 persone che attraversano le vie di Bologna e nemmeno di individuare fra quella distesa infinita di gente un piccolo gruppo di giovani studenti: ebbene sì, noi eravamo lì a parlare, cantare e urlare insieme a persone mai viste.

Proprio in quel 21 marzo a Bologna, vestiti con magliette arancioni a mezze maniche, rappresentavamo l’Istituto di Istruzione Superiore A.F. Formiggini e la sua succursale nuova di zecca a Palagano. Pochi ma di valore: dopotutto con le gocce si forma il mare.

Abbiamo camminato per qualche ora fra le larghe, ma troppo strette, vie di Bologna, come un enorme fiume colorato: bandiere, manifesti, striscioni, magliette di ogni colore e con frasi, nozioni o provocazioni (anche piuttosto dirette) impresse con l’inchiostro. Una vera e propria sfilata con i colori della pace.

Un chiaro e forte messaggio alle mafie di qualsiasi genere: "Siamo stanchi di subire e tacere".

200.000 persone (non mi stancherò mai di dirlo) hanno aderito alla manifestazione organizzata da Libera per dire stop a tutte le forme di violenza e agli attentati alla pace ed alla libertà, ma soprattutto per ricordare e far rivivere nella propria mente una lista interminabile di nomi… i nomi delle vittime dirette ed indirette delle mafie e delle stragi di innocenti (come quelle di Bologna).

Così, arrivati nella piazza più grande della città, siamo stati accolti nella grande foce a delta del nostro fiume colorato.

Ci aspettavano nomi, nomi e ancora nomi, che come melodie si diffondevano a tono chiaro e pacato nelle nostre menti e risuonavano per le viottole di Bologna. Troppi nomi, per troppo poco. Vite di avvocati, giudici, sindaci, parroci, studenti, bambini stroncate solo per aver compiuto il proprio dovere.

Una situazione commovente che è riuscita a lasciare un segno nel cuore di tutti i presenti; noi, in particolare, ricordavamo il nome e il volto di una povera ragazza di nome Rita Atria, collaboratrice di giustizia a soli 16 anni e morta suicida dopo la scomparsa della sua figura di riferimento, il giudice Borsellino.

Proprio lei, sfigurata e quasi tenuta anonima perfino dopo la sua morte (e non perdonata dalla madre per essere stata collaboratrice di giustizia), abbiamo deciso di rendere simbolo del nostro gruppo, imprimendo il suo nome e il suo volto sulla nostra maglietta arancione.

Alla fine abbiamo ascoltato le forti e commoventi parole del fondatore dell’associazione Libera, Don Luigi Ciotti. "Chi non vuole una legge sulla corruzione - ha detto don Ciotti dal palco - fa un favore ai mafiosi, la corruzione è la più grave minaccia per la democrazia. Purtroppo sento parlare di assurde prudenze e di un valzer di pressioni e ipocrisie. Ma la corruzione è l'avamposto delle mafie, sono due facce della stessa medaglia".

Così noi, dal nostro piccolo spazietto, abbiamo udito il suo messaggio di pace e di ribellione, le sue forti provocazioni alle organizzazioni mafiose, la sua esortazione al coraggio e alla lotta alla paura che (secondo le sue parole) è, insieme alla corruzione, l’arma più potente della criminalità organizzata. E, un applauso dopo l’altro, ci ha lasciato quel messaggio con il compito di diffonderlo, come la coltre di palloncini bianchi che sono stati liberati nell’azzurro cielo bolognese.

Ora non ci rimane altro che il ricordo di quella bellissima esperienza, le riflessioni a cui ci ha portato e il dovere di operare incondizionatamente per sradicare l’albero secco della paura e della corruzione piantato dai mafiosi.

Nel piccolo della nostra classe di Palagano abbiamo notato quanto, nonostante le diversità spazio-temporali di diversi personaggi storici, molte "regole etiche e morali" siano simili se non uguali; a noi rimane il compito di seguirle, ricordarle e tramandarle, proprio aderendo a queste manifestazioni che spaventano i mafiosi e i terroristi.

Non mi resta altro che terminare riportando le parole di un mio "compaesano" che ha vissuto una realtà diversa da quella mafiosa, ma ha trasmesso, in molti di noi, principi riconoscibili in questa manifestazione del primo giorno di primavera: "Pensa, parla, agisci per la Verità, la Giustizia, la Libertà e la Pace a favore di questa nostra povera società moderna" (Don Sante Bartolai).

 
 

SETT'ANNI FA

Non è solo una questione di numeri. Che sia stato ucciso un civile, due civili o cento civili poco importa, ciò che ha rilevanza è che, in ogni caso, sono stati commessi un omicidio, due omicidi o cento omicidi di troppo
 

 
Di Tommaso Paperini

Settant’anni fa succedeva più o meno questo, qualcosa che andava al di là della guerra in sé, quando migliaia di persone morirono perchè troppo spaventate per fuggire, troppo fiere per andarsene o troppo coraggiose per lasciare da sole anime innocenti. E per riscattarci da tutto quello che i nostri predecessori hanno vissuto sulla loro pelle, possiamo solo ricordare e sperare di non dimenticare.
Le stragi naziste avvenute nell’Appennino tosco-emiliano lungo la Linea Gotica furono, e sono ancora, uno strappo nell’anima delle popolazioni che hanno visto e sentito parlare dei loro cari morti ingiustamente per mano delle truppe tedesche. Noi dobbiamo qualcosa a loro, perchè hanno avuto il coraggio di difendere le loro famiglie o morire con esse.
Tutto ciò che possiamo fare è non dimenticare ciò che è successo e, in questo contesto, la scuola superiore di Palagano ha iniziato un progetto didattico per tenere viva la memoria delle stragi che hanno colpito le nostre montagne, in particolare quella a noi più vicina del 18 marzo 1944. A partire dalla storia dei nostri luoghi che già conoscevamo, abbiamo potuto vedere come la violenza di quegli anni abbia insanguinato altre comunità del nostro Appennino; per fare questo ci ha aiutato Davide Venturelli, un ragazzo di Pavullo che ha ricostruito gli avvenimenti della strage di Monte Sole (Bologna) visti con gli occhi di Teresina Bortolucci, una maestra elementare originaria di Camatta. Ella fu trasferita a Gardelletta, nei pressi di Vado, nel 1944 e coraggiosamente scelse di restare a fianco dei suoi alunni, anche quando i nazisti erano alle porte. Morì nell’oratorio di Cerpiano il 29 settembre 1944, insieme ad altre 43 persone.
Dopo un incontro formativo a scuola, che ci ha permesso una prima conoscenza e contestualizzazione degli avvenimenti, il 30 aprile scorso abbiamo effettuato una visita nei luoghi dell’eccidio di Monte Sole, potendo constatare con i nostri occhi, grazie alle testimonianze del Parco storico, la gravità dei fatti accaduti alle popolazioni del nostro territorio.
Sono infatti rimasti i ruderi delle chiese, delle case e degli edifici che sono stati il rifugio di molti civili, prima di essere distrutti.
Il cimitero di Casaglia è forse il luogo che racconta meglio la strage: i proiettili ancora conficcati nel muro, le lapidi commemorative, i resti dell’oratorio del campo santo, sono prove tangibili della crudeltà della razza umana, una razza che non si è fatta scrupolo di uccidere un centinaio di persone nel sacro luogo di sepoltura dei loro parenti e amici.
"Hitler disse: dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con tranquilla coscienza, dobbiamo distruggere tecnicamente, scientificamente".
Queste parole, riportate su una lapide commemorativa al di fuori del cimitero, rappresentano ciò che non può essere giustificato, un gesto, quello compiuto dai nazisti, che non può più essere ripetuto, per dare un senso alla nostra storia e al nostro futuro.

 
 

 



SECONDA FESTA DEL GRANO

 
 
Di Davide Bettuzzi

Tradizione e solidarietà a Palagano. Il primo fine settimana di agosto si è svolta la seconda edizione della "Festa del grano".
Il grano seminato nell'autunno scorso nel terreno messo a disposizione dalla parrocchia, mietuto in covoni in luglio e impilato nella tradizionale "medda" è stato battuto utilizzando una macchina "da battere" d'epoca. Il grano riposto in sacchi di juta, a dorso di muli, è stato trasportato nell'area dell'oratorio di S. Chiara dove è stato pulito utilizzando una vecchia mondatrice, quindi macinato con un mulino a pietra. Infine si è proceduto alla panificazione.
Dal chicco di grano alla pagnotta.
Pranzo, cene e serate danzanti hanno completato la festa.
Nonostante il tempo inclemente abbia tentato di rovinare la festa sabato 1 agosto la manifestazione ha avuto un'eccellente riuscita grazie soprattutto alle decine di persone che hanno dedicato tempo e impegno, senza risparmiare fatica, ed al pubblico che ha partecipato numeroso.
Congratulazioni quindi agli organizzatori e a tutti coloro che che hanno collaborato a qualsiasi titolo e che hanno permesso di raccogliere una somma di denaro da devolvere all'A.V.A.P. di Palagano per l'acquisto di materiale per la nuova autoambulanza e all'associazione S.C.I.L.L.A. per il sostegno dei progetti di solidarietà internazionale.
Al momento della pubblicazione di questo numero de la Luna nuova non sono disponibili ancora i dati economici definitivi che verranno prontamente diffusi con manifesti cartacei e pubblicati sul nostro sito www.luna-nuova.it. Ricordiamo che il ricavato della prima Festa del grano, svoltasi l'anno scorso, è stato utilizzato per l'acquisto di un motoscafo per le missioni delle suore francescane di Palagano in Paraguay.
Sul sito dell'associazione S.C.I.L.L.A. sono pubblicati bilancio, immagini e relazioni riguardo al progetto "Un motoscafo per Puerto Pinasco".
 

 

ASSOCIAZIONE S.C.I.L.L.A. COMPIE 30 ANNI


L’associazione S.C.I.L.L.A. celebra quest’anno 30 anni di vita. Anche questa, come tante altre associazioni presenti sul nostro territorio, è espressione di una comunità che si ritrova unita di fronte ad un problema; quante volte è stato detto della generosità della nostra gente nel prestarsi in tutti gli ambiti del volontariato! Ebbene, S.C.I.L.L.A. è un'alta espressione di questo aspetto: quando una persona decide di lasciare la propria famiglia, il lavoro, gli amici per dedicare una parte della propria vita agli altri, lontani, sconosciuti, "estranei", è allora che si realizza uno degli aspetti della persona che più la nobilitano. Senza dimenticare, e chi scrive queste righe ne è testimone, che queste esperienze arricchiscono in una maniera incredibile chi le vive, aprendo orizzonti altrimenti sconosciuti, facendo toccare con mano realtà fino a quel momento solamente immaginate.


 
In occasione del trentennale di fondazione dell'associazione è stato stampato "S.C.I.L.L.A. - Il grande libro": storia e progetti dal gruppo missionario ai giorni nostri. Il ricavato della vendita sarà utilizzato per finanziare il progetto di alfabetizzazione "Scuola di Alfa Kpara" in Benin. Info: www.associazionescilla.it
 

 
 
Di Gabriele Monti 

UOMINI TRA GLI UOMINI
Una goccia nel mare degli aiuti necessari
 
24 dicembre 1981: l’idea di una personale esperienza missionaria.

1982: inizia l’epidemia del "Mal d’Africa", che dalla parrocchia di Boccassuolo si estende nel comune di Palagano e dintorni.

Spontaneamente, imprevedibilmente tutto ha inizio.

Da una tragedia la generosità.

Solidarietà tra uomini.

15 gennaio 1985: nasce l’associazione S.C.I.L.L.A..

Difficile ricostruire oggi, con precisione, tutta l’attività dell’associazione, soprattutto dei primi anni. All’inizio, semplicemente, si cercava di rispondere alle richieste, progettare, raccogliere fondi, inviare volontari, lavorare... senza pensare di tenere un archivio con progetti, interventi, fotografie, documenti.

Ora abbiamo tentato di rimediare: carte ritrovate a Casa papa Giovanni (prima sede dell’associazione), incontri con volontari e missionari, altri documenti in ordine sparso...

Insperatamente c'è abbastanza materiale per ricostruire il cammino dell’associazione, per ritrovare avvenimenti dimenticati, per dimostrare che tutti possiamo "guardare lontano e ascoltare il grido degli altri popoli".

Da qui l’idea di stampare un libro, probabilmente incompleto. Forse mancano alcuni interventi o progetti; forse anche nomi di volontari.

Ma almeno 67 progetti, 112 interventi e 91 volontari che sono andati in terre lontane e povere per lavorare e portare la solidarietà di tutti noi sono documentati; e tutto si è svolto anche grazie all’impegno di molti collaboratori e sostenitori in Italia, di cui non ricordiamo tutti i nomi. E si riscoprono esperienze, avventure, difficoltà, soddisfazioni vissute da volontari laici in luoghi nè scontati nè semplici (soprattutto nei primi anni); esperienze che lasciano il segno, cariche di un significato che va oltre il progetto realizzato; testimonianze che coinvolgono chi è rimasto in Italia e che spingono a continuare. Non è autocelebrazione, inutile, dannosa e stupida, ma semplice e vera testimonianza per affermare che chiunque può fare qualcosa di utile per gli altri e che tutto questo, alla fine, porta a progredire nel "nostro personale cammino di uomini".

Solidarietà che si concretizza: "Una goccia nel gran mare degli aiuti necessari".




 
 

COLLECTIN' SPARKS - RACCOGLIENDO SCINTILLE


Nei fondali talvolta dimenticati della nostra prima giovinezza si nascondono sempre dei segreti. A volte sono mostri, a volte sono piccoli, grandi tesori. Qualcuno ha il coraggio e la volontà di riaprire il cassetto, soffiare la polvere e guardare dritto in faccia alla propria storia ed al proprio "io", partendo dalla primavera della nostra vita, dalla stagione in cui nella nostra anima in tormento vengono gettati i semi del nostro essere.

Michele Fiorenzi, sostenuto dalla sua anima musicale, il fratello Nicola, riapre il cassetto e soffia la polvere. Si trova una band ed insieme ad essa dà un nuovo vestito e una nuova forma sonora alle sue inquietudini giovanili. Il risultato sono un gruppo rock, un disco ed un nome unico per entrambi: Collectin’ Sparks.
 

 
 

I peccati di gioventù sono indimenticabili. Diventano composti ritornanti, cicatrici ancora più profonde, per tutti quelli che hanno scelto di derubricare le piccole e grandi emozioni giovanili in diari, lettere d'amore, scritti a penna su fogli di block notes, canzoni che mai hanno visto la luce. Alla messa in piazza odierna di ogni sentimento e ogni tribolazione, che relega ogni ricordo a scomparire nell'evanescenza continuata dei post sui social network, quelle rigorose e personali archiviazioni erano degli atti un po' autolesionistici e splendidamente poetici.


Poche volte si ha il coraggio di guardarsi indietro. La maturità spesso implica una serie di autocensure al sentimento puro del tempo e non va d'accordo con la spericolata passione giovanile.
Chi ha avuto questo coraggio è Michele Fiorenzi, "leader" e fondatore del progetto Collectin' Sparks e del disco che prende il nome della band o viceversa. Il primo disco dei Collectin' Sparks nasce proprio dalla riproposizione e di alcune canzoni ancora inedite, scritte da Fiorenzi durante gli anni ottanta e novanta (d'altronde parliamo di un artista maturo, con un percorso live pluriennale, principalmente come interprete di canzoni rock nei club di Modena e dintorni). Il disco è davvero gustoso. E fin dalle prime note del brano iniziale Morning Trees sono evidenti i richiami ai Grant Lee Buffalo e ad alcune ballads dei REM, dove la strofa dalle tinte dark si apre a un ritornello vivace e più catchy.
Il secondo brano Back to the Sea è anche uno dei più riusciti. Un quattro-quarti dove la voce di Fiorenzi e la chitarra dell'ottimo Francesco Dignatici la fanno da padrone e dove il ritmo e la melodia vengono costantemente rimessi in gioco, anche in maniera brusca. Il risultato è invece una splendida epica rock, che sfugge dall'essere prolissa per essere solo di grande impatto sonoro.
E se Changes scava davvero nelle profondità dell'animo di Fiorenzi, con un piano che rende la ballata ancora più struggente, Sweet Thing riaccende l'animo rock del disco con un suono pieno e un cantato eccezionale che ricorda un po' il Mark Lanegan degli Screeming Trees.
Dead Woods on The Fire, se possibile, fa aumentare i giri. Un suono deciso e coinvolgente, che accompagna l'ascoltatore verso un ritornello efficace e definitivo. Un brano magistrale che risente dell'esperienza live di Fiorenzi e quindi nasce per coinvolgere il pubblico in un climax sonoro classico e quasi "americano".
I brani successivi Second Hand Love Man e Rainy Day scorrono piacevoli come il fumo di una sigaretta dopo una birra ghiacciata.
Con Drive torniamo dalle parti dei Grant Lee Buffalo, ispiratori nemmeno troppo nascosti di questo promettente disco d'esordio. La chiusura del disco è affidata all'onirica June, l'ultima struggente ballad di un disco che, attraverso la semplicità, riesce a stupire.
Detesto i track by track e l'analisi di ogni canzone risulta quasi limitante per un disco da assaporare tutto d'un fiato e che parte da un progetto più corposo rispetto a i dettagli dei singoli brani. Ascoltandolo per la prima volta avrei voluto dire ai Collectin' Sparks una frase semplice: "Questo è il disco rock che vogliamo ascoltare nel 2015"; non me ne vogliano le majors, i Mumford&Sons, i Coldplay, i Guns e i Litfiba che son tornati assieme già da mo'.
E pazienza se manca il pezzo che strizza l'occhio al pop, quello che anche in radio funziona, un brano che avrebbe reso questo disco pronto per tutte le orecchie e tutte le età. Ma noi che abbiamo la radice immersa nella palude della storia del rock, apprezziamo e ringraziamo. Un disco che è una piacevole e attesa ora di religione.
 
 



sabato 29 agosto 2015

UN UOMO SENZA SANGUE MUORE, NO?

Senza criteri nè regole...
Creare con le parole e raccontare l’irregolare.
Dedicato a chi vuole leggere racconti brevi o storie assurde. Trame create per dare forma a un’idea, per trovare un significato anche ai pensieri dall’apparente mancanza di senso…






di Enes Ljesnjanin
 

Come spesso accadeva, mi ritrovavo quasi frastornato, in silenzio, ad osservare il tramonto, seduto su quella vecchia panchina arrugginita. Tra sogni e balzi nella realtà non comprendevo se il sole fosse alla sua nascita o alla sua morte. Non comprendevo se io ero alla mia nascita o alla mia morte.

Dondolavo lentamente i piedi nel vuoto. Se qualcuno avesse potuto essere lì con me in quel momento avrebbe certamente detto che ero tranquillo ed esprimevo serenità. Ne sono convinto. Chi non associa il cadenzato dondolare dei piedi nel vuoto a una sensazione di gioia?

Abbozzavo un sorriso ironico, forse un po’ falso; stringevo il bordo della panchina, mentre mi divertivo a stendere i gomiti di entrambe le braccia facendo leva sui palmi delle mani, per vedere quanto potessi estenderli. Mi sentivo soddisfatto.

Sì.

Se qualcuno avesse potuto essere lì, avrebbe certamente detto che ero soddisfatto. La mia espressione era inequivocabile.

Sentii proprio allora uno sfrido accarezzarmi l’orecchio destro. Rimasi fermo. Avevo paura di girarmi. Magari era stato solo uno scherzo del vento.

Dopo pochi attimi successe nuovamente, ma questa volta mi si accapponò la pelle.

Pareva quasi che qualcuno avesse graffiato con le unghie su di uno specchio proprio di fianco al mio orecchio.

Era certamente qualcuno che lottava. C’era una guerra in atto. Lo specchio era andato in frantumi. Io mi sentivo rabbrividire. In sottofondo pareva emergere un lamento di un adulto.

Era un lamento acido, a voce bassa, un po’ rosso a dir la verità, sebbene se avessi dovuto descriverlo a terzi l’avrei certamente descritto come grigio.

Qualche istante dopo, il silenzio. Non una mosca volare. L’unico rumore che in realtà mi creava piacere era l’incalzante muoversi dei miei piedi.

Passò un istante in cui mi sentii al sicuro. Esatto: un istante. L’istante dopo sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla destra.

Non mi voltai.

Ma la pressione non pareva essere tanto energica, non c’era di che avere paura.

Al mio orecchio fu sussurrato qualcosa. Era una voce animalesca, quasi roca. Non badai molto alle parole, ricordo solo che un attimo dopo ero al suolo. Scaraventato.

Sapevo che non avrei dovuto permettergli di lasciarmi la mano sulla spalla.

Tentai di rialzarmi, ma mi colpì all’addome con un calcio prima, e con una ginocchiata poi.

Non ero in grado di parlare, né tanto meno di rialzarmi.

Il colpo successivo mi fu sferrato al volto.

Ero inerme.

Mi risvegliai con una mano sulla spalla. Era la stessa mano che si era appoggiata a me qualche tempo prima. Feci per allontanarla immediatamente, ma ancor prima di poterla sfiorare fui colpito al volto dalla mano stessa.

Era la fine. Non riuscivo a reagire. Restavo a terra sanguinante.

Un uomo senza sangue muore , no?

No.

Un uomo che crea castelli illusori composti da mura di pensieri e da portoni senza chiave muore.

Un uomo muore quando per paura di perdere tutto ciò che ha avuto fino a quel momento, decide di non saltare, decide di guardare il cielo a braccia conserte, decide che il buio della propria ombra sia il posto più sicuro in cui stare, decide di fermarsi.

Un uomo muore quando decide che il meglio ci sia già stato, e quando a decidere per lui sono gli altri.

Un uomo non muore quando viene colpito al volto. Muore quando viene colpito alle gambe. Muore quando viene colpito alle ginocchia. Muore quando anziché alzarsi decide di stare seduto.

Muore quando arriva a non desiderare. Muore quando è ossessionato dal giudizio degli altri, ma non di quello che lui ha di se stesso. Muore quando, tra cento volti, sceglie di guardarne uno solo. Muore quando sceglie di non scegliere.

Muore quando ha gli occhi sbarrati e le labbra asciutte. Muore quando preferisce l’artificio alla natura. Muore quando preferisce la certezza all’incertezza.

Io continuavo a dondolare i mei piedi sulla panchina con aria soddisfatta.

L’uomo non è immortale, ma è in grado di sopravvivere alla morte.



MAMMA RITORNERO' PRESTO

Vicende di guerra tra una promessa disattesa ed una lettera mai recapitata
 
 
 
 
Di Aldo Magnoni

Per la morte, nel 1944, dell’Internato militare italiano Aldo Galanti di Casola, i documenti fino ad ora raccolti permettono di aggiungere l’ennesimo tassello alle brutalità subite dai prigionieri nei campi di sterminio tedeschi nonché dai loro familiari, sovente ignari della sorte del loro congiunto. Brutalità sicuramente aggravate da atteggiamenti spesso al limite del cinismo, sia da parte delle Autorità fasciste italiane durante il conflitto, sia dalle Autorità democratiche nei periodi a questo successivi.

La ricerca storica iniziata nel 2009 e finalizzata inizialmente all’eventuale individuazione del luogo di sepoltura in Germania, ha fornito risultati purtroppo tardivi per i genitori di Aldo Galanti, nonni materni di chi scrive, che morirono negli anni ’70 nella convinzione che il proprio figlio fosse, come si sentiva dire spesso in casa, "disperso in Germania". Era ed è invece sepolto nel cimitero Italiano d’Onore a Francoforte sul Meno insieme ad altri 4.787 "dimenticati di Stato" come li definì giustamente l’amico Roberto Zamboni. Le Autorità italiane preposte avevano semplicemente omesso di darne la dovuta comunicazione alla famiglia. Forse il timore che i congiunti pretendessero la restituzione delle salme, venendo a conoscenza del luogo di sepoltura, fece calare l’oblio sulla questione e mise in ogni caso al riparo le casse – ma solo quelle economiche – dello Stato Italiano che con la Legge n. 204 del 9/1/1951 all’art.4 secondo comma, freddamente recitava: "Le salme definitivamente sistemate a cura del Commissariato Generale non potranno essere più concesse ai congiunti". Non importò che il fiorentino Danilo Cardini, compagno di sventura di Aldo Galanti e deceduto alcuni mesi dopo di lui, implorasse con una straziante lettera la fidanzata, scrivendo "… Valentina, se dopo la guerra è possibile riavere le salme dei prigionieri, fai ogni sforzo, ma non farmi dormire fra gente straniera, almeno avrò il conforto di una lacrima e di un fiore."

Una analisi documentale sui non pochi documenti rinvenuti portò poi alla luce nuovi tristi particolari: alla cattura avvenuta dopo l’8 settembre del 1943, seguì l’internamento nel tristemente famoso Stammlager VI D di Dortmund, preludio di morte certa per chi come Galanti venne obbligato all’arruolamento nonostante fosse già ammalato di brucellosi o, come si diceva allora, febbri maltesi.

La corrispondenza con la famiglia ha evidenziato come le rassicurazioni inviate distintamente più volte sia ai genitori sia ai fratelli, altro non erano che pietose bugie ben lungi dalla triste realtà fatta di fame, lavori disumani, freddo e torture. L’ultima di queste lettere reca la data 24 gennaio 1944.

Dopo quella cartolina calò il grande buio tra quello sfortunato prigioniero ventiduenne e la propria famiglia che seppe soltanto sei anni più tardi della morte del figlio e mai fu loro comunicata l’esistenza del luogo di sepoltura. Forse con un poco di umanità tutto questo si sarebbe potuto evitare.

Tra i documenti si scopre infatti che il Comune di Montefiorino in data 9 settembre 1944 ebbe notizia del decesso di Galanti Aldo avvenuto in data 20 febbraio 1944 alle ore 8 nell’infermeria del campo di Dortmund. In questo atto vi fu un richiamo, poi non osservato, di "trasmettere con le dovute cautele la notizia ai famigliari".

La data del decesso risulta anche nella documentazione degli archivi nazisti sul verbale redatto in data 18 novembre 1944.

L’ 11 aprile 1945 l’ufficiale d’anagrafe del Comune di Montefiorino, trascrisse l’atto di morte a seguito della nota ricevuta dal Ministero degli Affari Esteri il 17 febbraio di quell’anno, riportando integralmente la nota stilata dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. Anche su questo documento si riportò in modo non veritiero che "venne informata la famiglia a mezzo del prete assistente".

Solo attraverso un ormai inaspettato telegramma giunto alla mamma Emma Gigli ed al papà Michele Galanti, attraverso i Carabinieri in data 14 giugno 1949, il Ministero della Difesa comunica testualmente che il loro figlio "è deceduto il 22 febbraio 1944 in Germania per malattia. COMUNICAZIONE RITARDATA PER DISGUIDO POSTALE. Si prega di darne comunicazione alla famiglia residente a Montefiorino, esprimendo le più sentite condoglianze del Sig. Ministro". Sic!

Anche il Comune di Montefiorino alcuni giorni dopo, il 21 giugno 1949, confermò il "disguido postale" di ben cinque anni nella tardiva comunicazione, ma senza comunicare altri particolari come il luogo di sepoltura che era invece ben noto al Ministero.

La ricerca avrebbe potuto quindi a questo punto considerarsi conclusa ma un dubbio, su quella che poteva essere stata la causa di morte, ancora non lo permetteva: malattia in senso generico come scritto dal Ministero, enterocolite come scritto nei documenti del Comune di Montefiorino, o qualcosa di diverso si nascondeva dietro quella mancata indicazione sull’atto di morte stilato dalle S.S., che si limitarono a dichiarare soltanto che era morto nell’infermeria?

Si riparte quindi con uno studio sulle vicende all’interno dello Stammlager VI D di Dortmund attraverso l’incrocio delle corrispondenze ritrovate e le testimonianze note raccolte nel dopoguerra tra i prigionieri sopravvissuti. Un colpo di fortuna conduce chi scrive in un piccolo paese, Centallo, nel Cuneese in Piemonte. Si apprende che lì visse un sacerdote, don Giuseppe Barbero, che fu cappellano militare prigioniero proprio nello Stammlager VI D e che assistette spiritualmente gli ultimi istanti di vita di circa 500 prigionieri che morirono nei primi mesi del 1944. Solo circa 500 perché poi, dall’autunno alla fine del conflitto, il numero giornaliero di morti crebbe in modo esponenziale rendendo impossibile anche la sepoltura individuale.

Subito dopo il rientro della guerra, in occasione del Natale 1945, il sacerdote pubblicò un libro dal titolo "La croce tra i reticolati – Vicende di prigionia". Vi si descrissero l’infermerie di Dortmund, le mortalità spaventose lì avvenute, come morivano i prigionieri e con quale cadenza giornaliera. Scrisse: "Leggo nel mio diario: 22-23 marzo: 8 morti in questi due giorni. 25 marzo: vado al cimitero per le sepolture. 20 sepolture in questa settimana. Oggi 4 morti. 29 marzo: oggi 5 sepolture. 3 aprile: oggi al cimitero 11 sepolture. 5 aprile: oggi 3 moribondi contemporaneamente; corro dall’uno all’altro". Quel prete era riuscito a salvare il diario di prigionia!

Questo, in versione originale, mi venne gentilmente messo a disposizione insieme al restante archivio di don Giuseppe Barbero e questa è la sintetica conclusione:

Il quinto prigioniero deceduto nello Stammlager VI D di Dortmund era proprio Aldo Galanti, che ora sappiamo avere avuto un conforto spirituale negli ultimi istanti della sua breve vita. Don Barbero scrisse però erroneamente come luogo di nascita "Montegiordano" anziché "Montefiorino" e questo impedì, ultimo atto di una storia veramente sfortunata, la comunicazione di questa sua lettera ai genitori: "Da varie fonti avrete già saputo la disgrazia toccatavi. In questo tributo di sangue e di sofferenza che tutta l’umanità ha dovuto pagare, e quanto sangue ho visto scorrere nei Balcani, in Grecia, in Germania ed in Italia, il Signore nei suoi inperscrutabili disegni anche a voi domanda di accompagnare Lui e tante vittime innocenti nella via del Calvario e del dolore. Ma questo dolore, queste lacrime di sangue, il Cuore di Gesù le cambierà in torrenti di benedizioni e meriti se a lui le confidate. Per vari motivi non vi scrissi prima:

a) mi fu proibito dal comando tedesco, dicendomi che toccava a loro dare d’ufficio la comunicazione.

b) Non mi erano dati i moduli su cui potevo scrivere, essendo prigioniero. c) Pensando che il tempo avesse lenito il dolore non avrei avuto il coraggio di scrivervi subito, se pur l’avessi potuto.

Insieme con vostro figlio, più di 500 italiani ho visto morire nell’infame infermeria per i prigionieri a Dortmund. I medici, che gli hanno prestato tutte le cure possibili hanno fatto la diagnosi di enterite perché era loro proibito scrivere la vera diagnosi "morto per fame" come tutti 500, ed altre migliaia.

Morì vostro figlio il giorno 20 febbraio 1944 ed è sepolto nel cimitero principale di Dortmund campo Hauph Feld 10, n° di tomba 49. La sua morte rassegnata, dopo aver ricevuto tutti i Sacramenti, mi ha commosso intensamente, e sarà certo per voi di grande consolazione.

Per chi, in una un po’ ingenua ignoranza, domandasse cosa ne abbiamo fatto degli oggetti del loro congiunto rispondo: 1) in reiterate perquisizioni prima di arrivare in Grecia ed in Germania stessa, ci furono tolti oggetti di valore, vestiario e soprattutto denari. 2) Chi ne aveva ancora li vendeva per un po’ di pane per non morire di fame. 3) Alla morte di ogni prigioniero, il comando tedesco requisiva gli oggetti personali dicendo che provvedevano loro ad inviarlo alla famiglia. 4) Se a loro rimaneva qualche capo di arredo personale, lo si distribuiva agli altri Italiani mezzi ignudi, e tutti stracciati. Di quanto vi scrivo potete interrogare qualunque prigioniero tornato in Italia.

Per il vostro congiunto e per gli altri italiani spirati, celebrai quasi tutte le mie Messe in circa due anni di prigionia. Continuiamo a ricordare il vostro congiunto e domando la carità di una vostra preghiera e presento le mie sacerdotali, vivissime condoglianze e cordiali saluti.

Don Giuseppe Barbero".